viernes, abril 27, 2007

Five Poems From Pino Blasone

LA CHIOMA DI CALIPSO

Chi, la ninfa marina?
Di Calipso io ricordo
i suoi capelli azzurri,
così lunghi da avvolgere
e celare l'intera isola
che risponde al nome
misterioso di Ogigia:
più un suono che un nome,
anzi un verso indistinto,
a tal segno i naviganti
timorosi delle tempeste
evitano di pronunciarlo.
Rammento anche il suo dono:
la promessa di farmi immortale,
in cambio della mia permanenza
nell'isola prigioniera dell'incanto.
Io non sarei mai più stato Ulisse,
intendo questo in carne ed ossa,
tutt'al più una specie di fantasma
che le onde chiamassero Nessuno,
un naufrago con l'orecchio intento
all'auricolare di una radio portatile
che mendichi notizie dal mondo.
Aggirarmi per sempre
su quelle spiagge dorate
ad accumulare le perle,
cibando mansueti delfini
accorrenti fra gli scogli
a lambire le mie mani:
non fa per me questa vita
le confidai in un sussurro,
mentre i lunghi capelli
grondanti gocce di luce
tornavano a raccogliersi
in un nodo sulla sua nuca.
Lei non fiatò. Da quel giorno
si spense il suo canto e Ogigia
tornò un'isola come poche altre,
di quelle che i migliori skipper
segnano sulle loro carte nautiche
per gli approdi di turisti di lusso.
Buste di plastica, bottiglie vuote
e profilattici usati cominciarono
ad arenarsi fin sulle sue coste.
Ma, per fortuna, era prossimo
ormai il varo del mio scafo.
Presto avrei ripreso il largo
in cerca di una nuova isola
o piuttosto di una antica,
là dove le dee o le ninfe
fossero solo delle statue
ben salde sui loro altari,
là dove a nessun devoto
toccasse restare avvinto
dal flusso dei loro capelli,
e il cui povero splendore
fosse quello dei ceri accesi
dalle dita stanche di tessitrici.



CALYPSO'S HAIR

Please, let me tell you
of Calypso the sea-nymph,
with her blue flowing hair.
It was long enough to encircle
and conceal the whole island,
whose mysterious name is
Ogygia: more an indistinct
sound than a name,
to such an extent seamen
avoided pronouncing it,
afraid of the storms.
I also remember her gift.
She promised to make me
immortal, if only I would
remain on her wondrous isle.
There I should no more
be Ulysses, I mean this one
you can see and may touch.
At most, a species of phantom
the waves will call Nobody,
who outlived shipwreck once
and listens to the earplug
of a radio, begging news
from the world.
Yes, to wander for ever
those golden sands,
collecting pearls,
feeding the gentle dolphins
which swim among reefs
coming to skim my hands:
such life does not suit me,
I said to her whispering.
Meanwhile the long hair
gathered upon her head,
into a bun dropping light.
She did not speak at all.
From that day, her song
remained silent and so Ogygia
became an isle like others,
one of those the skippers
mark on their pilot charts
to let rich tourists land.
Plastic bags, empty bottles
and used condoms began
to wash up on its strand.
I felt lucky then, my raft
was ready to launch.
Soon I could sail again
searching for a new isle
or rather for an old one,
where the gods and the nymphs
are fine and holy statues
standing behind altars,
where nobody touched
remains bound by the flow
of their hair
and whose poor splendor
was that of votives lit
by the weary hands of weavers.



IL FRUTTO DELL'OBLIO

Dimenticare la patria
insieme ai propri cari,
dimenticare la guerra
coi suoi lutti e rimorsi
o le cicatrici impresse
nella carne e nell'animo.
Scordare ogni affanno,
e lasciare che i vivi
vivano una loro vita
se e come a dio piace,
lasciando che i morti
seppelliscano i morti
come recita un poeta.

Questo e nient'altro,
il dono dei Lotofagi
gentili e smemorati.
Era, a ben giudicare,
un'insidia contraria
ma non meno rischiosa
di quella delle Sirene,
le marine incantatrici
che facevano affiorare
grazie al magico canto
ogni angoscia sommersa
nelle nostre coscienze.

Vietai ai miei compagni
di mangiare quel frutto,
offerto a noi stranieri
dagli abitanti del luogo.
Io invece ne assaggiai
nascosto agli sguardi,
già a bordo della nave
lontana da quella costa
infida di sabbie mobili.
I flutti si placarono
e il cielo si schiarì
davanti ai miei occhi,
benché per i miei uomini
infuriasse la tempesta.

A volte ancora adesso
torna a farsi sentire
l'effetto di quel frutto
e causa vuoti di memoria
ovvero prolungate assenze
dalla realtà circostante.
Allora non riconosco più
la mia isola, e la fedele
Penelope diventa estranea,
lei intenta al suo telaio
a fianco di un marinaio
ormai rimasto senza nave
e privo della sua ciurma.

Verrà un giorno in cui
mi allontanerò di nuovo,
con un remo in ispalla
e un sacchetto di sale
ben stretto in una mano,
incapace questa volta
di ritrovare la strada
del ritorno verso Itaca.
Non più Ulisse ma Nessuno,
mi perderò fra una gente
che ignora la mia lingua
e che non conosce il mare,
come mi predisse un cieco
giù nel regno delle ombre.



FRUIT OF OBLIVION

To forget the homeland,
with whatever familiar.
To forget the long war,
its deaths and mourning
and its scars impressed
in our flesh and souls.
To forget all the worry
and let the living live
if and as the gods please.
Let the dead
bury the dead
as a poet once said.

This and no more,
was the gift of the gentle
and forgetful Lotus-eaters.
If we consider it well,
this was an innocence,
but one no less dangerous
then the song of the Sirens,
enchanters of the sea
who were wont to arouse
with their magical song
every trouble submerged
deep in our consciences.

I prevented my mates
from eating that fruit,
offered to us strangers
by the denizens of the place.
Yet I tasted it secretly,
once we were back on board
and the ship far off from
those quicksand shores.
The swells flattened out
and the sky cleared
before these raving eyes,
though a bad storm began
to rage against my crew.

Still today at times
the effect of such fruit
outshines my mind again.
It makes my memory fail
and my self cut out
from the surrounding reality.
Then I know my island
no longer; even my worthy
wife becomes a stranger,
she weaving by her loom
and living with this old
sailor who lost his ship
and could not save his crew.

I know, there will be a day
when I shall leave again,
with an oar on my shoulder
and a small sack of salt
hanging down from my hand,
so forgetful at last
as to be unable to find
the way leading back home.
I will no more be Ulysses
but a guy whose real name
is Nobody, lost in a people
who are ignorant of the sea
and do not speak my tongue,
as foreseen by a prophet
once in the realm of shades.



PARCO DELLA RIMEMBRANZA

Una volta ogni tanto
quasi con nostalgia
salire sul vecchio tram
che fende la nebbia
sui binari silenziosi
nel ventre della città,
simile a un'antica nave
spinta avanti dai remi
sopra abissi nascosti
e su acque inospitali
dove la voce è attutita,
ogni suono è privo di eco
come corpi senz'ombra.
La prossima fermata
è un giardino di rovi
abbandonato all'incuria
al centro di un piazzale,
cosparso di siringhe usate
e di bottiglie infrante.
Tra cancelli arrugginiti
e panchine rovesciate
vi si aggirano animali
tornati allo stato selvatico,
e si dice che siano stati
uomini e donne una volta.
Parco della Rimembranza,
proprio così lo chiamano
e forse lo è stato un tempo
ma nessuno se ne ricorda,
tranne Circe la spacciatrice
con lo sguardo appannato.
Lì lei recita la solita storia:
"Rivedo giochi per bambini,
coppie di giovani amanti
e cespugli di rose bianche.
C'era una giostra che girava
simile alla ruota del karma,
quella che macina le vite
secondo i meriti e le colpe".
"Le rose sono appassite,
le coppie si sono sciolte
e la giostra si è fermata.
Ma mai si arresta la ruota,
nessuno ne può scendere
una volta che vi sia salito.
Ben lo so io, che ne sono
la custode e la prigioniera.
Se questo ti può consolare,
ciò vale per ogni altra vita.
È quanto gli altri ignorano,
anzi fingono di non saperlo
fosse pure nel cuore di Itaca".
"Itaca non esiste," Ulisse
ribatte, "o non esiste più.
L'isola è solo un miraggio,
uno dei tuoi tanti trucchi.
Io me n'ero già accorto
ancor prima che salpassi
da questa terra di chimere.
Eppure fosti tu a insistere,
maestra di tutte le illusioni.
Me ne parlavi ogni notte
come se ben la conoscessi,
fino a convincermi davvero
che stesse nei miei ricordi".
"Se ho usato le mie arti,"
spiega la maga, "è perché
non pensavo che tu partissi
sul serio, l'unico fra tanti.
O non so, magari speravo
che mi portassi via con te.
Spesso ho sognato un'Itaca
illuminata da un sole vero,
in cui per sempre le nubi
non coprissero l'orizzonte.
In una casa dalle alte mura
un portico che giri intorno
al cortile interno, lontano
dagli sguardi del mondo".



PARK OF REMEMBRANCE

Once in a long while,
nearly nostalgic,
getting out on an old tram
cutting through fog
on its silent rails inside
the deep womb of the town,
seems like an old ship
driven by oar-strokes
above the hidden depths
of inhospitable waters
where voices turn dull,
all sound lacking echo
like bodies without shadow.
Next stop is a scrubby
and neglected garden
in the middle of a square,
strewn with used syringes
and smashed bottles.
Within its rusty gratings,
among its upset benches,
you might bump
into wandering animals
who become wild again
and are said to have been
once men and women.
Park of Remembrance, so
this place is called, as
maybe it was in the past.
Yet nobody remembers
but Circe the drug-dealer;
she repeats an odd story,
staring with dim eyes:
"I see children's games,
pairs of young lovers
and bushes of white roses.
There was a merry-go-round too,
quite like the Karma-wheel
which mills each one's life
according to what is due."
"Then the roses withered
and those pairs broke up,
that merry-go-round stopped.
But the wheel never stops,
so that no one may get down
after getting on such a device.
I know it well, since I am
its guardian and its hostage.
And if it may console you
this is worth all other life.
How much others ignore,
or pretend not to know
what was pure once
in the heart of Ithaca."
"Ithaca is no more," Ulysses
replies, "or it never existed.
The home-isle is a mirage,
the best of your many tricks,
what I realized before I sailed
from this chimeric land.
Nevertheless you went on,
thou mistress of illusion,
to tell me about every night
as if I knew well that island,
until I was convinced it was
a real place in my memory."
"I made use of my art," such was
the apology of the sorceress,
"because I could not believe
you were going to leave me,
thou alone of so many others.
Or maybe I hoped you were
wont to take me with you.
So often I dreamt of Ithaca,
a land lit by a true sun
where clouds do not flood
the horizon for ever and ever.
And a house with high walls,
with a portico circling within
its interior courtyard
out of sight from the world."



LA TRAMA DI PENELOPE

Niente di nuovo a Itaca,
per le strade notturne.
Agli angoli degli incroci,
sbadigliano semafori
intermittenti e gialli.
Nelle vetrine dei negozi
spente dopo la chiusura,
manichini incantati
replicano la trita
pantomima del sacro.
Domani partire,
su lunghe autostrade
asfaltate di luce
nuova del giorno.
Lontana la città
nella sua cupola di vetro,
gli occhi delle telecamere
puntati sulle piazze,
nelle viscere l'urlo
lancinante delle sirene.
In una sala silenziosa
della reggia dei sogni
senza finestre né specchi
per l'ennesima notte
la tessitrice di miti,
Penelope, disfa la tela.
e la ordisce daccapo,
senza rughe sul bel viso,
digitando alla tastiera
col suo tocco leggero.
Fuochi di prostitute
e carcasse di auto,
accatastate lungo le vie
che si diramano
dal cuore di Itaca.
Attraverso lo stereo
di motel deserti,
il canto delle Sirene
affascina i sensi
stanchi di camionisti.
Dentro lo schermo acceso
che illumina la stanza
col suo verde chiarore,
quasi un raggio di luna,
lei simula il labirinto.
Dove echeggi il muggito
mostruoso del Minotauro
e spicchi il volo Icaro,
accecato dal riverbero
del sole nel blu marino.
Ulisse si arresta in trance
di fronte all'oblò
di una lavatrice in funzione,
rimembrando l'occhio
vorticoso del Ciclope.
Poi si inietta nelle vene
L'essenza dei Lotofagi
e attende con pazienza
che l'incendio di Ilio
gli si proietti nel cranio.
Ma dalla mano di Teseo,
che si torce come olivo
nello spazio senza tempo,
pende reciso il filo
della matassa di Arianna.
Su un labile supporto
a fatica si dipana,
va crescendo a dismisura
e si lacera fra le dita
la trama della scrittura.



PENELOPE'S WEB

Nothing new in Ithaca,
on its streets
yellow traffic lights
shine and fade,
yawning on their posts
at night crossroads.
In the shop windows
spellbound manikins
pantomime a mystery play.
Let us leave tomorrow
on endless highways,
paved with the new light of day,
a last look backward
at the city left behind
under its glass vault,
with camera eyes
pointed on the squares,
the scream of sirens
piercing its own bowels.
Inside a dreamy palace
there is a quiet room
without windows or mirrors.
One night more Penelope,
weaver of myths, undoes
what she will do again.
There are no wrinkles
on her beautiful face,
her fingers are nimble,
typing on the keyboard.
Fires lit by whores
and the carcasses of cars
stacked along the roads
which branch off from
the heart of Ithaca,
while a Siren song
runs through the stereo
of desolate motels
to bewitch the senses
of tired truckers.
In the lit up screen,
whose green glimmer
illuminates the room
like a ray of moonlight,
she counterfeits the Labyrinth
where the Minotaur still
makes his bellows echo
and young Icarus
is poised to fly away,
dazzled with the glare
of sun on the blue sea.
Ulysses stops entranced
before the porthole
of a running washing machine,
remembering the vortex
of the Cyclops' single eye.
Later he shoots up
the Lotus-eaters' drug,
awaiting the scene
of wasted Troy on fire
to replay in his skull.
But from the hand of Theseus,
twisting like an olive branch
from that timeless space,
hangs the broken thread
of Ariadne's skein.
On an ephemeral foundation
the web of writing winds
and growing to diminish
breaks in the weaver's hands.



LE VOCI DI ULISSE

Molti mi hanno domandato
che mai narrarono le Sirene
quando otturai con la cera
le orecchie dei miei uomini,
chinati sui manici dei remi,
perché non udissero il canto.
Ma io stesso mi feci legare
all'albero dalla vela inerte,
per sfuggire alla seduzione
e all'insidia di quelle voci
emesse dai petti verginali.
Ebbene, esse mi promisero
che mi avrebbero raccontato
nulla che io già non sapessi:
le gesta della guerra di Troia,
i lutti dei vincitori e dei vinti,
gli infausti ritorni degli eroi
che vi avevano preso parte,
tanto che io mi chiesi se mai
le voci non fossero le stesse
che riecheggiano nel sonno
e mi destano durante le notti
facendomi desiderare l'alba.
I mostri stavano appollaiati
in cima alle bianche rocce
della loro isola maledetta.
Si diceva che essi fossero
tetri spiriti delle tempeste,
volatili dal torso di donna,
ma non c'era alito di vento.
A mano a mano che la nave
si avvicinava alla costa, vidi
che quegli scogli non erano
se non cumuli di nude ossa,
tante quante erano le morti
che aveva generato la lunga
guerra fra i greci e i troiani.
Tornò ad allontanarsi la nave
spinta dalla forza dei rematori
provati dalle avverse correnti,
ma quelle voci mi inseguivano.
Mi torcevo in preda ai rimorsi,
supplicavo di sciogliere i nodi
e certo mi sarei gettato in mare
se solo qualcuno l'avesse fatto.
Non potendo udirmi, ciascuno
evitava di notare i miei cenni,
pur di attenersi alle istruzioni
da me impartite in precedenza.
Molti hanno preferito credere
che quella insinuante melodia
suscitasse non so quale piacere,
invece che una smania suicida.
Forse io avrei dovuto smentirli,
una volta tornato padrone di me?
Li ho lasciati alla loro illusione;
temevo che non volessero capire
o potessero rivoltarsi contro chi
li aveva guidati in tale impresa.
Né sapevano, i miei compagni,
che per loro non c'era scampo
alla tardiva vendetta degli dei.



ULYSSES' VOICES

Many have asked me
what the fair Sirens sang
when I filled the ears
of my crew with wax,
slumped over the oars,
so that they could not
hear the song. But I
lashed myself to the mast
under the limp sail
to escape the seduction
and snare of those voices
uttered by virgin breasts,
listening to their appeal.
Indeed, they promised me
to tell nothing but what
I already knew: the feats
of the war with its mourning
of victors and vanquished,
or the unlucky homecomings
of Greek heroes from Troy;
such a song made me wonder
if their voices might be
the same as those echoing
in my sleep
that wake me at night,
and make me long for daylight.
Monsters were squatting
on the peaks of white rock
of their cursed island.
They are said to be the gloomy
spirits of storms,
birds with the chest of a woman.
There wasn't a breath of wind.
By oar stroke the ship
neared the coast and we saw
that those rocks were
heaps of bare bones,
as many as the numbers of dead
churned out by the long war
between Trojans and Greeks.
We turned asea and made way
by the strength of the oarsmen
stemming the current,
but those voices pursued me.
I became prey to remorse
and writhed begging
for the knots to be loosened,
and would have dove overboard
if someone obeyed me.
None could hear and each,
minding orders,
ignored my gestures
as per my instructions.
Many have liked to believe
some raving pleasure arose
from that bewitching melody,
instead of a suicidal rush.
After mastering myself again,
I did not disappoint them
and left them their illusion.
I feared they wouldn't want
to understand or might
turn against their captain
in such circumstances.
They could not know, oh my crew,
that none of them would escape
the due vengeance of the gods.


(Translated from the Italian by Pino Blasone and Andrew Haley)

Pino Blasone was born and lives in Rome. He taught Latin and philosophy and translated poems from Latin and Arabic. In Italian, he issued a novel, several stories and some essays. When Blasone was young, he travelled through the United States and studied for a while at the American University in Cairo. There, he learned to appreciate both English and Arab modern poetry, with special reference to their nostalgic and updated Mediterranean contents.

Pino Blasone è nato e vive a Roma. Ha insegnato latino e filosofia. Ha tradotto poesie dal latino e dall'arabo. In italiano, ha pubblicato un romanzo, racconti e saggi. Da giovane, ha viaggiato negli Stati Uniti; ha studiato per un periodo all'Università Americana del Cairo, dove ha imparato ad apprezzare sia la poesia inglese sia quella araba moderne, in particolare i loro riferimenti a un aggiornato immaginario mediterraneo.

sábado, abril 14, 2007

An Elegy For Vonnegut by Andrew Haley

STRANGE PROCESSION (RIP KV)

In the church of the world
Some are guiding the long leashes
Of the animals
Caged in thought
Some are guiding the cages
With antique keys
Hanging on leather loops
Around their heads
Some guide the long night forward
Leading it with crosses
And the oxcarts’ aching axels
Grinding forward
In the loam
Behind the straining steps
Of bullocks
The mute procession of the animals
Marks the earth with holes
The sky is the end of the wind
The wind is the shadow of heaven moving
Over the vast stretches
Where the bodies lie
Where the animals sit down mutely
And mew their final song of servitude
To the night they draw
Over the church of the world

In the church of the world
You are one of many cages moving
An hour of ice in an hour of glass
Your wet eyes and your heart wetter
Wrongs piled filings on the bottom of the cage
Rightness a key whittled from molded metal

Method
Is right
In the altar

The altar shaking
On the planks
Of the oxcart

Dikirion and trikirion flameless
The candles continuously extinguished
Tilting in their brass candelabra
Smoke leading night over loam
Priests nodding the exhausted refrain
To the bullocks’ pace–

“They did not like it here”



Andrew Haley is a writer and translator living in Buenos Aires. His poems and translations have appeared previously in
Zone, as well as Quarterly West, Western Humanities Review, Wavelength and Good Foot.

jueves, abril 12, 2007

Kurt Vonnegut




11 Nov 1922 - 11 Apr 2007

miércoles, abril 11, 2007

Tres Poemas en Prosa de María Gallardo

Y fue...

Calladamente, sin sentir casi su paso, con una simple pregunta...me quitó el aliento, inundó de pasión mis ojos, de emociones mis sentidos, de ilusión mi vida, de amor mi boca.

Cadenciosamente, sin mover casi su cuerpo, abarco mis formas, las lleno de estrellas… las cubrió de alfas… las tradujo a omegas.
Dulcemente, sin imposición ni esfuerzo, me hizo parte de su masa, su peso, su volumen...su voz se fundió en mis murmullos, su respiración abrió espacios en mi estomago, la sospecha de su aroma vino hasta mi, dejando tras de si, misterio y deseo.
Sus ojos oscuros, cuajados de ansias, abiertos solo a mi intensa apariencia... conjugaron en un solo instante... la razón de ser de mi existencia.


Otro mundo?

Deslizo mi huella y las rutas que persigo en el firmamento se desdibujan bajo cristales rotos de un infinito negro... Abro más mis ojos y me sumerjo en esa ineludible inconsistencia cósmica.
Trato de alcanzar un universo inexistente, muevo mis párpados, apaciblemente; en un intento vano por definir un concepto, pero la imagen que se forma no tiene sombras.
Persisto en mi intención pero la tenebrosa vaguedad me impide aceptar una realidad amorfa y sólo quiero extender mi tacto hasta donde encuentro el sentido de mi carne trémula.
Los cinco sentidos asfixian la posibilidad y el sexo está ausente de esa interiorización prematura de un yo, totalmente incongruente con una miseria humana irreversible... Inevitable.
Cada una de las figuras que se ciernen sobre mi inmensidad son sólo ligeros rasgos de un mundo extremo que no logro entender, mi conciencia cuelga con desparpajo y se resiste a sufrir los embates de la constancia de un viaje sin retorno.
Temor callado de un ente enfermo... Ilusión maltrecha, en la que otro mundo es la esperanza insensata y ajena a una mortal esencia.



Vaguedad

Siento mis extremidades hundidas en un pantano, una urgencia de realización me abate y no se cómo levantarme y continuar; los distintos espacios de mi vida sólo han hecho heridas que aún buscan sanar.
Un egoísta sentido justifica el deseo de avanzar en mi individualidad, la solidaridad presiona mi conciencia para buscar humanidades a las que pueda ayudar.
La palabra me puede enredar y convertir este monólogo interior en la expresión divina de una ilusa retórica, sin actos que puedan ocultar las mezquindades propias de mi destino como ser humano.
Es fácil perderse en los derroteros de sumisión y los actos acalorados que deseamos propagar como hacedores de historia y creadores de grandes revoluciones se ven acallados, sometidos al artilugio de una seductora vida cómoda en la que no cuestiono nada.
Quiero vivir intensamente, pero los pasos que debo seguir son muchas veces, laberínticos y en esencia soy tan cobarde como el más sencillo.
Creo que no debo sucumbir al paso del tiempo, que inexorable me aleja de mis imaginarios actos reivindicativos; pero cuando más cerca me siento de mi objetivo, una oleada de brisa marina me recuerda la dulce lacitud que se siente vagar los sentidos en la inmensidad de una hamaca.



María Gallardo nació y vive en Costa Rica. Creció en medio de un ambiente artístico – su padre fue un importante pintor de Europa. En los noventa se casó y tuvo tres hijos. Poco después de divorciarse a la edad de veinte años, empezó a trabajar empíricamente y publicar en la red de forma anónima. Actualmente realiza algunas ediciones y cursos de la lengua española y estudia comercio internacional. Ha estado conenctada con arte y literatura y ha hecho viajes a otros países, en una permanente confirmación de su viaje y búsqueda personal. Madre y esposa, está lista para publicar su primera colección de poemas y prosa.